Ho vissuto in Norvegia per sei mesi, più esattamente nella costa sud-ovest, a Bergen. In questi mesi ho provato molte volte a scrivere un articolo su questa esperienza, ma non riuscivo a trovare il modo per descrivere il mio rapporto con questo posto, che si basa su riconoscenza, incomprensione e una lingua che sembra inventata!

Partiamo dalla gratitudine: non dimenticherò mai che, in piena pandemia, la Norvegia mi ha accolto, dandomi la possibilità di fermarmi qui quando nessun paese voleva o poteva farmi entrare. Sono sempre stata uno spirito libero, mia mamma spesso mi chiama vagabonda, ma ritrovarsi in un aeroporto straniero e rendersi conto in un istante che non puoi tornare a casa tua, non puoi raggiungere il tuo mondo e i tuoi affetti, è una sensazione terribile. I nostri luoghi ci appartengono, e noi apparteniamo a loro, e nel momento in cui ci viene negato di tornarci, ci rendiamo conto di quanto abbiamo dato per scontato il fatto che casa dovesse essere sempre pronta ad accoglierci. Ecco, la Norvegia è stata per me una casa dove andare, e la possibilità di passare questo periodo in famiglia, con mia sorella.

Bergen è una città multiculturale, dove i diritti umani sono rispettati e ognuno è libero di essere se stesso.

In un famoso discorso del 2016 Re Harald V (sì, in Norvegia esiste la monarchia e la famiglia reale è molto amata dal popolo) diceva: La Norvegia siete voi; la Norvegia siamo noi!. Questo senso di unione, questo non riconoscersi in una sola nazionalità, questo ammettere che la popolazione norvegese è una popolazione formata da tutte le razze, si traduce in una convivenza pacifica e rispettosa, che si nota nella vita di tutti i giorni. Tutti hanno gli stessi diritti e le stesse opportunità, senza escludere nessuno!

Esiste una politica delle seconde possibilità e una persona non viene mai giudicata per il suo passato, ma per la persona che è nel momento. Si vive bene a Bergen, è una città universitaria che dalle acque del mare si arrampica fino alla montagna.

In Norvegia funziona tutto, i trasporti, le code alle casse, la differenziata (quando compri una bottiglia o una lattina paghi una maggiorazione sul prezzo che ti viene resa quando riconsegni i vuoti) e tutti pagano le tasse.

Non c’è stata una vera e propria emergenza Covid 19; quando è iniziata la diffusione del virus, il governo ha suggerito il distanziamento sociale e, semplicemente, tutti l’hanno applicato, riuscendo, fino ad ora, a non dover imporre l’uso delle mascherine o altre misure preventive. Ad onor del vero c’è da dire che la Norvegia conta 5 milioni e mezzo di abitanti, e che fuori dalle città principali le distanze tra le persone aumentano notevolmente (case isolate in mezzo a montagne e foreste, distanti decine di chilometri dai primi vicini). In più i norvegesi non si toccano, sembra che esista una maniera di comunicare che non implichi il nostro gesticolare; sembra anche che all’interno delle famiglie e dei gruppi di amici non sia indispensabile baciarsi, abbracciarsi e toccarsi per dimostrare affetto. I norvegesi hanno trovato la maniera di vivere insieme in un naturale e spontaneo distanziamento sociale e questo, nell’epoca in cui viviamo, è importante.

Piove sempre in Norvegia, e Bergen è una delle città più piovose d’Europa. Il record di giorni di pioggia consecutivi a Bergen è di più di 90: tre mesi di pioggia, devastante! I norvegesi sono contenti quando piove, perché aumenta la produzione di energia idroelettrica e si paga meno la corrente. La pioggia in Norvegia non è come la nostra, non ha quello strano potere di paralizzare qualsiasi tipo di attività e farci rinunciare a tante cose, qua la pioggia è semplicemente acqua, e si continua a fare tutto quello che si fa sempre, avvolti in strati di vestiti di plastica. Se incontri un tuo amico per strada e diluvia, non corri a cercare riparo, rimani a parlare sotto la pioggia. Anche perché, come dicono i norvegesi, Non esiste il cattivo tempo, ma soli cattivi vestiti. Questa frase, che il più delle volte risulta abbastanza irritante, visto che te la dicono quando sei bagnato fradicio, apre un capitolo significativo della vita in Norvegia: i vestiti devono essere comodi e impermeabili, altrimenti non servono! I Norvegesi si vestono in maniera bizzarra, usano moltissimi capi vecchi, anche bucati, ma che devono essere comodi. Non gli interessa molto essere vestiti bene, conta solo stare caldi e asciutti. Nelle case si tolgono sempre le scarpe e capita spesso di vedere calzini improbabili e alluci scoperti. Mi piace questo loro modo di non essere schiavi dell’apparenza! All’inizio è strano vedere quei particolari abbigliamenti, ma alla fine sono liberi, e secondo me fanno bene!

Hanno delle abitudini particolari, per esempio il giovedì è il giorno delle raspeball , una sorta di gnocchi di patate serviti con un purè di rutabaga, carne di agnello salatissima, patate e bacon frittissimo. La particolarità di questa tradizione è che le raspeball le trovi solo il giovedì, non puoi averle in altri giorni della settimana. Come anche i tacos: se sei invitato a cena in una casa norvegese ed è venerdì puoi stare certo che ti offriranno tacos, perché il venerdì è il giorno dei tacos!

I bambini e le bambine norvegesi girano per la città, prendono gli autobus e vanno a scuola da soli. Se passi vicino ad un asilo d’inverno, con un freddo glaciale e una pioggia battente, vedrai file di passeggini in giardino, dove i piccoli dormono beati. Qua non si crede, come da altre parti, che bisogna coprire i bambini fino ad soffocarli, qua credono che bisogna abituarli al clima, per cui li lasciano dormire fuori. I bambini e le bambine, fino a pochissimo tempo fa, potevano mangiare dolci solo il sabato: se un bambino riceveva in regalo un qualsiasi dolce di lunedì doveva aspettare il sabato per mangiarlo, in un gioco perverso di tentazione e resistenza che i bambini accettavano e rispettavano. In questo modo si cercava di educarli al rispetto e alla pazienza fino a quando, anche i bambini e le bambine, hanno capito di avere dei diritti e hanno lottato per la loro dose giornaliera di zuccheri!

Se ti invitano ad una festa devi portarti le bevande che intendi bere; non esiste che non porti nulla e beva quello che hanno portato gli altri. Prima di iniziare a bere e a mangiare si aspetta che arrivino tutti, poi il padrone di casa fa un discorso di ringraziamento e descrive ad uno ad uno i piatti che verranno serviti e solo dopo si può iniziare a mangiare e bere. La cosa assurda, per noi, è che non esistono i furbetti che iniziano prima, qua tutti rispettano le regole con una naturalezza che ti mette quasi a disagio, fino a quando non capisci quanto sarebbe semplice se ci fidassimo l’uno dell’altro come si fidano i norvegesi!

Esistono delle politiche restrittive per fumo e alcool, è come se il governo norvegese ti dicesse Vuoi fumare o bere? Fallo! Ma paghi moltissimi soldi!. Così un pacchetto di sigarette costa circa 12 euro, una bottiglia di vino 15, e una confezione da 6 birre 17. In più nei giorni festivi non si può comprare alcool, e nei prefestivi te lo vendono solo fino alle 15. Tutti gli stranieri hanno provato l’esperienza di entrare, di sabato dopo le 15 in un supermercato, e trovare una serranda chiusa che imprigiona le birre dietro una parete di metallo. E non pensiate di convincere il commesso a fare uno strappo alla regola, qua non funziona così, e un norvegese si offenderebbe profondamente davanti a questo tipo di richiesta. Non sono molto sicura che questa politica proibizionista sia efficace, ma come in tutti i paesi nordici, il consumo di alcool è un problema, per cui è un bene che ci siano leggi per arginarlo.

La Norvegia importa pochissimi prodotti (carissimi!) per incrementare il consumo di quelli locali. Scordatevi le corsie dei supermercati pieni di marche, per esempio, di latte, qua ne esiste solo una ed è quella nazionale, ed è così per tutti i prodotti. Si dice che la Norvegia, grazie a queste politiche economiche e sopratutto all’estrazione del petrolio, abbia messo da parte i soldi per poter far vivere la sua popolazione con lo stesso stile di vita di oggi per 50 anni, proprio come da noi!

I Norvegesi adorano l’hiking, per loro la montagna è uno stato mentale. Ho visto, con un po’ di invidia mista ad ammirazione, donne che avevano appena partorito spingere il passeggino mentre correvano in salita per raggiungere una vetta, mentre io arrancavo per raggiungere una panchina.

Si sale al Fløyen, la montagna che sovrasta Bergen, di giorno e anche di notte, utilizzando delle pile da minatore sulla testa. Ogni scusa è buona per salire in montagna, e si incontrano spesso gruppi di tutte le età che vanno ad allenarsi. In montagna ci si saluta tra sconosciuti, in città no!

Ragionano in settimane, non date. Per esempio ti dicono ci vediamo lunedì della 17° settimana non il 20 aprile. Inoltre se chiedi ad un amico o ad una amica di incontrarvi per un caffè, può tranquillamente risponderti che vi vedrete dopo 15 giorni alle 19.42 e, diciamocelo, noi non sappiamo neanche quello che dobbiamo fare domani poi quel 42… ci incasiniamo!

Arriviamo all’incomprensione più grande, dovuta, come è logico pensare, alla loro strana e buffa lingua.

Il norvegese è pieno di suoni che ci risultano strani, una serie di consonanti che si uniscono in un scioglilingua incomprensibile, reso ancora più complicato dai suoni emessi inspirando. C’è un suono, che credo sia di conferma, che si produce inspirando l’aria e risulta una specie di io, che, le prime volte, viene scambiato dagli stranieri per un episodio di soffocamento. Non si capisce dove finisce una parola e inizia l’altra perché in norvegese si uniscono le parole! Mi è capitato più di una volta di pensare di essere in The Truman Show, e che tutti si fossero messi d’accordo per farmi credere che quei suoni incomprensibili avessero un significato.

Tutti parlano inglese e sono disposti a cercare di comprendere il tuo non proprio perfetto. Puoi vivere e lavorare parlando solo l’inglese, ma se voi conquistare i norvegesi devi parlare la loro lingua, in una delle sue varianti. In norvegese non esistono le parolacce, e credo sia la prima volta che sento di una lingua dove non siano contemplate. L’offesa più grande che possono rivolgerti in norvegese è qualcosa tipo Che il diavolo ti porti via, ma è considerata una frase gravissima, e, se viene usata significa che davvero la situazione è drammatica. Se hanno bisogno di insultarsi usano le altre lingue, che sono ben fornite di espressioni volgari.

Dopo 6 mesi in Norvegia posso affermare che i suoi abitanti sono pazienti, lavorano e vivono con lentezza, silenziosi e sorridenti, sono persone miti, gli piace ridere e hanno delle risate esplosive, rispettano gli altri e l’ambiente.
Vivono serenamente confidando nel fatto che tutti rispetteranno le regole, e lavorano insieme per costruire una realtà sociale basata sul rispetto, l’uguaglianza e la convivenza civile.

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