È successo tutto molto velocemente, quasi senza che avessimo il tempo di capire cosa stava succedendo. La prima volta che ho intuito che fosse una situazione grave e reale è stato quando mi hanno dato la notizia del contagio di Carlone. Prima di allora erano notizie scritte su giornali che raccontavano una realtà lontana, e che sembravano preoccupazioni infondate di ipocondriaci d’oltre oceano. A volte abbiamo bisogno che le notizie, per diventare reali, debbano toccarci da vicino, per non trasformarsi in leggende metropolitane vissute da amici di parenti. Il contagio di Carlone ha fatto scattare in me un campanello, ma non ero pronta per ascoltarlo e affrontarlo.

Siamo partite per Quito, programmando come sempre i successivi quattro giorni, che sarebbero stati tra la Capitale e Otavalo, un piccolo paese a nord dove c’è il mercato artigianale più importante dell’Ecuador. Avevamo deciso di continuare il viaggio, ci sembrava assurdo andare nell’epicentro dell’epidemia, e anche da casa ci consigliavano di non tornare. Abbiamo passato due giorni a Quito che ci ha rapito con il suo fascino e i suoi abitanti gentili. Erano i giorni nei quali in Italia iniziavano le restrizioni, e le notizie che arrivavano da casa stavano iniziando a preoccuparmi seriamente. Le giornate sono passate tra mirador, cattedrali e ricerca di wi fi per leggere le ultime notizie.

Ricordo esattamente il momento in cui ho pensato per la prima volta che questo maledetto corona virus avrebbe cambiato tutto per tutti. Mi ha chiamato mio fratello, Ferdinando, e mia cognata, Valentina. Sono due persone razionali e estremamente pragmatiche, e la settimana prima ridevamo insieme dell’isteria generale che si era creata intorno a questo virus.

Ferdi con voce strozzata dalla preoccupazione mi ha chiesto di tornare, mi ha detto che la situazione era balorda e che aveva paura che, se non fossi tornata subito, avrei rischiato di rimanere bloccata per mesi, senza sapere quando e come tornare.

Da quel momento è stato tutto molto caotico. Sofia non era convinta di partire, dalla Spagna aveva notizie non troppo drammatiche, e tutti continuavano a dirle di non tornare. Abbiamo aspettato un giorno, in cui non riuscivamo a dire a voce alta quello che tutte e due sapevamo di dover fare: interrompere il nostro progetto, rinunciare a una parte del nostro sogno.

Sono stati momenti difficili, nessuno di noi è preparato ad affrontare una situazione come quella che stiamo vivendo, e che ha cambiato totalmente la nostra percezione del futuro. Io e Sofia stavamo vivendo il nostro sogno, un progetto dove potessimo essere libere di esprimere noi stesse, aiutando gli altri. Decidere di interrompere il viaggio è stato molto doloroso, ma anche inevitabile, non potevamo continuare il progetto sapendo che le nostre famiglie erano chiuse in casa ad affrontare una situazione surreale.

Abbiamo iniziato a chiamare la compagnia con la quale avevo il biglietto di ritorno dal Perù, per cambiare la data al giorno dopo. C’era un aereo per Roma via Amsterdam e volevo salirci a tutti i costi. Abbiamo scritto mail, mandato messaggi su qualsiasi canale della compagnia senza nessuna risposta. L’ambasciata italiana a Quito mi ha detto che sconsigliavano di partire, ma che era una mia decisione. La Farnesina ha risposto subito alla mia mail: la Spagna ha chiuso, trova un altro modo per tornare. Inutili tutte e due.

L’unica cosa sensata da fare, anche grazie al consiglio di Andrea, mio agente di viaggi, era raggiungere, la mattina dopo, l’aeroporto di Quito e piantarsi davanti all’ufficio della compagnia fino ad ottenere un biglietto di ritorno. Sofia aveva diverse opzioni per Madrid, e ha deciso di aspettare che anche io avessi un biglietto.

L’ultimo giorno in Ecuador l’abbiamo passato al mercato, comprando tutto quello che volevamo e che ci piaceva. È stato un pomeriggio spensierato, passato a cercare regali per i nostri cari, i nostri amati nipoti e le nostre famiglie, Abbiamo comprato mezzo Ecuador! Per tutto il viaggio non avevamo potuto comprare quasi niente, i nostri zaini dovevano rimanere leggeri per affrontare gli spostamenti, ma superato questo limite ci siamo lasciate andare allo shopping compulsivo. Abbiamo girato moltissime per farmacie e comprato tutti i gel antibatterici, mascherine e guanti che abbiamo trovato.

Il giorno dopo abbiamo preso un autobus presto e alle 10 e 30 eravamo all’aeroporto di Quito, davanti all’ufficio della compagnia che era chiuso nonostante l’orario di ricevimento indicasse le 10. Abbiamo aspettato ore mentre la fila dopo di noi si allungava con turisti europei preoccupati, tutti condividevamo la stessa speranza, tornare a casa! Sono state ore infinite, intervallate da notizie funeste: molti paesi europei stavano cancellando i voli per l’Italia.

Andrea e Federica, dell’agenzia di viaggi Hutalaby di Cagliari, mi hanno accompagnato in ogni momento di questa situazione delirante, dandomi informazioni, cercandomi alternative e convincendomi, con non poca fatica e pazienza, ad andare a Bergen in Norvegia, da mia sorella Sissi. Mi dicevano che se volevo mi avrebbero fatto arrivare in Italia, ma avrei dovuto passare ore, se non addirittura giorni, in qualche capitale europea ad aspettare un volo.

Quando ha aperto l’ufficio della compagnia, tre ore prima del volo sul quale volevo assolutamente salire, io e Sofi abbiamo iniziato a parlare come due pazze, io in un itagnolo incomprensibile, alla povera ragazza che ha avuto la sfortuna di incontrarci. All’inizio mi dicevano che potevo volare solo da Lima, avendo un biglietto di ritorno da quella città, io spiegavo che il Perù aveva chiuso la frontiera ad italiani e spagnoli, e che quindi era impossibile per noi passare il confine.

Dopo un’ora che ci è sembrata un secolo sono riusciti a cambiarmi il biglietto e farmi arrivare da mia sorella a Bergen con uno scalo ad Amsterdam. Sofia ha immediatamente comprato un biglietto per Madrid, con scalo a Bogotà.

Ci siamo salutate con una birra e un guacamole in un pub carissimo dell’aeroporto, con gli occhi pieni di lacrime e con la promessa che questa non sarà la fine di Viajandos, ma solo un nuovo inizio.

Il mio viaggio è andato liscio, hanno minacciato di fermarmi sempre ma non l’hanno mai fatto. Sono state ore di paranoia pura, non ho mai tolto la mascherina, tanto che mi facevano male le orecchie. Appena l’aereo è decollato mi sono spostata in un sedile che fosse a distanza dagli altri e ho disinfettato il tavolino e il sedile. Arrivata ad Amserdam ho scoperto che Sofia aveva perso il volo per Madrid a causa del maltempo, ed era a Bogotà in un albergo aspettando quello del giorno dopo.

Per tutto il viaggio la gente parlava di quello che stava succedendo in Italia, accusandoci di essere degli untori, e dandoci la colpa del contagio. Ho evitato di tirar fuori il passaporto e di parlare in italiano, per la prima volta da quando viaggio essere italiani era un punto a sfavore.

All’imbarco per Bergen hanno annunciato che la Norvegia imponeva a chiunque una quarantena di 14 giorni, e che se non avessimo accattato di osservarla, ci avrebbero rimandato a casa. Non essendoci voli per l’Italia io sarei dovuta tornare a Quito.

Sono arrivata in Norvegia con il mio zaino pieno di vestiti estivi e di ricordi incredibili, che giacciono sotto la preoccupazione per questa situazione. Sofia è arrivata a Madrid il giorno dopo. Ancora non riesco a credere che siamo riuscite a tornare in tempo record, il mio viaggio è durato meno di molti altri!

Sono in quarantena a Bergen da 12 giorni, mia sorella è andata a casa di un’amica che non c’è, in modo che si possa muovere almeno per la spesa. Sono 12 giorni che sono immobile: sono stata catapultata dal mio sogno più grande a una situazione assurda, in un paese straniero, chiusa in una casa che da su un cortile interno. Vedo Sissi dalla finestra 5 min al giorno, non sento voci, non vedo esseri umani, vivo in una bolla dove sembra che il tempo si sia fermato.
Mancano 2 giorni e poi, finalmente, io e Sissi saremo insieme! Nonostante tutto mi sento fortunata, sono riuscita a tornare in Europa in un momento difficilissimo, sono con mia sorella e mi hanno fatto entrare in Norvegia.

Cerco di non pensare al futuro, ma oggi ho deciso di ricominciare a scrivere, e questo è già un inizio!